I morti, infinitamente più numerosi dei vivi, sono anche infinitamente più potenti di loro. Governano l’immenso campo dell’inconscio, quel campo invisibile che contiene nel proprio impero tutte le manifestazioni dell’intelligenza e del carattere. Un popolo è guidato molto più dai propri morti che dai vivi. È da loro soli che una razza è fondata… Le generazioni estinte ci impongono non soltanto la loro costituzione fisica, ma anche i loro pensieri
Sanu Shamdasani
Halloween è la contrazione di All Hallows’ Eve, dove hallow è il termine arcaico per “Santo”: letteralmente, la “Vigilia di Ognissanti”. Le vigilie erano tenute in gran conto nella cosmologia celtica, secondo cui la giornata iniziava al tramonto e l’anno nuovo in autunno, il 1° novembre.
Per i Celti il tempo era ciclico, scandito da 8 fasi principali: Samhain (31 ottobre), Lughnasadh (31 luglio), Beltane (30 aprile), Imbolc (1 febbraio), Yule (21 dicembre), Ostara (21 marzo), Litha (21 giugno) e Mabon (21 settembre). La transizione da una fase all’altra era particolarmente importante.
Il passaggio dall’estate all’inverno e dal vecchio al nuovo anno veniva celebrato con i festeggiamenti di Samhain, (“fine dell’estate”). Per le comunità i cui ritmi sono scanditi dai cicli vegetativi è naturale chiudere il calendario insieme alla stagione agraria: il raccolto è assicurato, il bestiame ricondotto nelle stalle e le scorte preparate, così la comunità può ringraziare gli Dei e raccogliersi in casa, costruire utensili e raccontare storie e leggende intorno al fuoco. Rafforzando i legami sociali si esorcizzano i rigori dell’inverno.
Il nuovo anno inizia con il grano appena seminato, che ha una doppia valenza simbolica: da un lato rappresenta una gestazione e dall’altro una sepoltura, una discesa negli inferi che culminerà in primavera con la germinazione.
Sotto terra, invisibile, la vita continua: vita e morte si con-fondono nel ciclo cosmico. Il confine che separa i vivi dai morti (o, più esattamente, il manifesto dal non manifesto) si assottiglia e anche i due piani di realtà si con-fondono e, almeno temporaneamente, le leggi dello spazio e del tempo si sovvertono; l’accostamento di Samhain al culto dei morti diventa automatico.
I Celti credevano che alla vigilia di ogni nuovo anno gli spiriti dei morti, che risiedevano a Tir Nan Oge, potessero visitare il mondo dei vivi; per questo il 31 ottobre, nella notte di capodanno, andavano a trovare, mascherati, i propri morti nei cimiteri, mangiando e bevendo con loro alla luce di lampade ricavate da grosse rape. Gli irlandesi invece aspettavano che fossero i morti a tornare a casa, e li accoglievano con usci illuminati e cibo in tavola. Offrire cibo ai morti ha un importante significato: vuol dire che ci si ricorda di loro e del loro ruolo nella stirpe, e che si crede nella loro vita ultraterrena: cibo vuol dire vita. Offesi se dimenticati e trascurati, essi potrebbero decidere di vendicarsi, a volte con qualcosa di più che un semplice “scherzetto”.
Anche in alcune regioni d’Italia sopravvive la credenza secondo cui i morti ritornano a casa una volta all’anno e mangiano il cibo preparato per loro. In Veneto e Friuli succede nella notte fra il primo e il 2 novembre, quando si offrono loro fave, castagne e zucca marinata. La sera della vigilia dei morti si mangia tradizionalmente una minestra di fagioli molto diluita; in Abruzzo si preparano dolci chiamati “fave dei morti”.
Secondo una tradizione antichissima, le anime dei morti risiederebbero nei baccelli delle leguminose: i pitagorici sostenevano che le fave nascono dalla putrefazione e sono, quindi, simbolo dell’incessante ciclo di vita e di morte nel mondo della manifestazione, ma sconsigliavano di mangiarle perché condividere il cibo dei morti significava mantenersi nel ciclo delle metensomatosi
Maschere, processioni e morti
Una maschera non è principalmente ciò che rappresenta, bensì ciò che trasforma, vale a dire ciò che essa sceglie di non rappresentare.
C. Lévi-StraussTweet
Il cristianesimo inglobò le celebrazioni pagane istituendo il giorno di Ognissanti; nel IV secolo si parla già di questa ricorrenza, che cadeva il 13 Maggio. In questa data avvenne anche la prima celebrazione ufficiale, a Roma, nel 609 d.C, in occasione della consacrazione del Pantheon alla Vergine Maria.
Circa un secolo dopo, Papa Gregorio III, conformandosi alle usanze francesi, spostò la celebrazione al 1° Novembre. Nel corso dei secoli, la preoccupazione delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti di pratiche funerarie pagane parallele alle proprie crebbe sempre di più: l’arcivescovo Incmaro di Reims (806-882) arriverà a proibire al clero di partecipare ai riti di commemorazione e di brindare al morto, sulla base di un canone risalente al Concilio di Nantes (658): “il riso, i banchetti e le bevute sono del pari vietati, né si deve permettere che abbiano luogo giochi, giostre e tornei, né che si portino maschere (larvae) dette talamascas”.
Perché questo nesso tra maschere e morti? Il termine classico larva, usato nel testo, indicava genericamente uno spirito malvagio, che in contesto cristiano era sinonimo di demone; le maschere, inoltre, coprono e trasformano l’immagine di chi le indossa, e questo agli occhi della chiesa del tempo era un atto sacrilegio: significava rinnegare di essere fatti a immagine e somiglianza di Dio.
Nel testo di Incmaro al posto di larva si usa il termine talamasca: in francese talemaschier indicava l’atto di annerire il viso, perché la “maschera” alla portata dei più era il viso annerito dalla cenere.
Proprio nel IX secolo Papa Gregorio IV ufficializzò la Festa di Ognissanti e nel X secolo la chiesa inglobò definitivamente il culto dei morti quando Odilone di Cluny dispose la commemorazione dei defunti a ridosso di Ognissanti. Fu così che si aggiunse una nuova celebrazione: il Giorno dei Morti. Dal monastero di Cluny il rito si diffuse un po’ alla volta in tutta Europa, giungendo a Roma solo nel XIV secolo.
Una delle maggiori preoccupazioni che Chiesa aveva in merito era la credenza, ancora molto diffusa, che nel loro giorno i morti potessero riaffacciarsi al mondo dei vivi. Durante l’Alto Medioevo, nella letteratura ecclesiastica le apparizioni erano per lo più di morti eccezionali, i santi, che si manifestavano a vivi eccezionali, cioè monaci o re. C’erano anche, a volte, spiriti malvagi, che però davano occasione ai suddetti vivi eccezionali di dimostrare il loro valore. Questi spiriti malvagi non erano demoni ma anime che, private dei riti funebri, non potevano raggiungere la pace nell’aldilà: briganti, criminali insepolti, suicidi, bambini morti senza battesimo.
Un altro elemento che si aggiunge al novero è la credenza negli spiriti femminili dell’abbondanza domestica. La satia o domina abundia porta abbondanza nelle case che visita, se viene ben accolta: se trova cibo e bevande messi a disposizione per lei, se ne serve e ricompensa degnamente i suoi ospiti, ma se viene scacciata o ignorata porta disgrazia. A questa figura si affiancava tutta una serie di rituali domestici volti a propiziare l’abbondanza, in cui ci si appellava alla benevolenza degli avi defunti. Al di fuori di questa logica contadina, che tardiva una legittima preoccupazione per la sopravvivenza materiale, la chiesa associò la domina abundia alle streghe, accusando chi vi si rivolgeva di aver fatto un patto più o meno esplicito col diavolo. Da qui agli orrori perpetrati dall’inquisizione nel corso del XV secolo il passo fu breve.
L'autunno, il lutto, la tristezza
L'uomo e il Cielo rispondono alle stesse leggi
Assioma anticoTweet
Halloween ha integrato nel culto dei morti le caratteristiche di un rituale di inversione (come, per esempio, è anche il Carnevale), e oggi prevale l’aspetto legato alla paura e alla catarsi, ma fortunatamente non siamo fatti a cassetti ed è molto improbabile che proviamo emozioni, anche a livello collettivo, isolate dalle altre; più spesso si tratta di un insieme di emozioni, tra le quali ce n’è una dominante.
Senza escludere gli aspetti legati alla paura (all’idea di morire fa eco la paura dell’ignoto, di fronte a un cadavere proviamo orrore ecc), non dimentichiamo che tutto ciò che gravita intorno alla morte e al lutto è pervaso di tristezza.
Secondo la Medicina Cinese la tristezza è l’emozione propria dell’autunno, e non è un caso che le celebrazioni autunnali siano quasi sempre associate al culto dei morti: anche nell’antica Grecia erano rivolte ai semi e, per analogia, alla morte, mentre gli egizi, nel giorno corrispondente al 13 novembre, commemoravano l’uccisione di Osiride.
Ogni emozione muove in un modo specifico l’energia all’interno del corpo. La tristezza la incanala verso l’interno, così come l’energia cosmica in autunno compie un moto di interiorizzazione: dopo l’espansione estiva inizia un processo di inversione in cui lo Yang, arrivato al suo massimo, volge verso lo Yin. La natura in questo periodo non è più in grado di produrre e si raccoglie in sé stessa, preparandosi allo spoglio e alla purificazione.
Anche nell’atteggiamento fisico possiamo ritrovare la stessa tendenza: quando siamo tristi abbiamo lo sguardo e la testa abbassati e tutto il corpo sembra ripiegarsi su sé stesso, siamo poco espansivi e anche il tono di voce diventa flebile.
Nel rapporto dell’uomo con il ciclo dei cereali e della sopravvivenza, l’autunno è il momento in cui bisogna scegliere, selezionare il raccolto estivo e decidere cosa scartare e cosa conservare in vista della stagione fredda. Per gran parte delle società contemporanee non è più così, ma un tempo, soprattutto a certe latitudini, l’attenzione a non ingombrare cantine e dispense con cose inutili e a conservare esclusivamente ciò che avrebbe permesso di passare l’inverno senza soffrire la fame e il freddo significava fare la differenza tra la vita e la morte (nella nostra simbologia astrologica, è il compito che spetta alla Bilancia, segno che domina quasi tutto il mese di Ottobre). Non per nulla, nel ciclo dei Cinque Movimenti la Medicina Cinese associa l’autunno al Movimento Metallo, caratterizzato da introspezione e separazione. È un movimento energetico che sottintende necessariamente un distacco, un lasciar andare pur elaborando la memoria di ciò che è stato.
L’organo associato all’autunno e alla tristezza è il Polmone: alla nascita, il primo respiro è frutto di una separazione tanto fisiologica quanto simbolica: il taglio del cordone ombelicale, che costringe il bambino a respirare per la prima volta in maniera autonoma. L’attimo che passa tra il taglio del cordone e il primo respiro rappresenta, dal punto di vista di un neonato che sta facendo per la prima volta esperienza del mondo manifesto, un salto nel buio.
È legato al Polmone anche ciò che sancisce l’uscita dalla vita terrena: l’ultimo respiro. Il complesso energetico che coinvolge Metallo, Autunno, Polmone, Tristezza e Separazione è in forte analogia con la separazione per eccellenza, quella legata al lutto, e così il cerchio si chiude.
Un "fatto sociale totale"
Smisero di cercare di distruggere tutto, di umiliare tutto. Fusero religione, arte e scienza, perché alla base la scienza non è che la spiegazione di un miracolo, e l'arte è un'interpretazione di quel miracolo.
Ray Bradbury
Quella di Halloween è, da noi, una celebrazione ancora controversa, almeno nelle modalità “d’importazione”. Al di là dello scontro di tifoserie tra detrattori e sostenitori, è da notare che sopravvivono in essa molti aspetti legati allo scambio rituale, come accade in modo più evidente in festività altrettanto alterate ma meno controverse, come il Natale.
Ad Halloween lo scambio rituale avviene tra vivi e morti: i vivi preparano cibo per i morti o portano loro dei fiori; anche i morti ricambiano, portando abbondanza, dolci o regali. In ogni caso, i legami sociali si rafforzano anche oltre la morte.
L’antropologo Marcel Mauss espresse il concetto di “fatto sociale totale” in merito a fenomeni che sono espressione e sintesi della vita sociale di una comunità. Questi fenomeni coinvolgono tutto un insieme di aspetti: scambio sociale, elementi religiosi, comportamenti cerimoniali, aspetti estetici, alleanze politiche, transazioni economiche, fattori giuridici.
Costruire e mantenere legami sociali attraverso lo scambio di doni è alla base di un principio di reciprocità indispensabile affinché le società si sviluppino. Nell’ottica del culto degli antenati, indica che la comunità che lo pratica considera sé stessa costituita tanto dai vivi quanto dai morti.
Nei riti antichi c’era un marcato aspetto di condivisione e di coesione del clan, che non veniva separato dalla morte (accettata come evento naturale) ma che, quando a fine ottobre sfumano i confini tra manifesto e non manifesto, sfruttava la possibilità di ricontattare i propri antenati, mai dimenticati e mai esclusi. Non c’era nulla di macabro in tutto questo, perché tutto accadeva secondo una legge di natura. Del resto, a Samhain si festeggiava il Capodanno, e le feste si passano in famiglia.